Peppino Impastato – Se si insegnasse la bellezza alla gente, la si fornirebbe di un’arma contro la rassegnazione, la paura e l’omertà.

Peppino Impastato, nato a Cinisi il 5 gennaio 1948 e assassinato dalla mafia il 9 maggio 1978, era un giornalista, conduttore radiofonico e attivista di democrazia proletaria.

Il ragazzo ruppe presto i rapporti con il padre, che lo cacciò di casa, e avviò un’attività politico-culturale di sinistra e antimafiosa. Nel 1965 fondò il giornalino L’idea socialista e aderì al PSIUP. Dal 1968 in poi partecipò, con il ruolo di dirigente, alle attività delle nuove formazioni comuniste, come Il manifesto e, in particolare, Lotta Continua. Organizzò le lotte dei contadini espropriati per la costruzione della terza pista dell’aeroporto di Palermo in territorio di Cinisi, degli edili e dei disoccupati. Nel 1977 fondò RadioAut, radio libera e autofinanziata con cui cominciò a denunciare illeciti e affari mafiosi, attività che gli costo la vita. La sua abitazione, distava 100 passi dalla casa di Tano Badalamenti, mafioso di spicco che lui si divertiva a chiamare “Tano Seduto”.

Nel 1978 si candidò alle elezioni comunali. Venne ucciso con una carica di tritolo sulla ferrovia tra l’8 ed il 9 maggio. Si tentò di rappresentare la sua morte come un suicidio attraverso depistaggi ma grazie alla madre Felicia Bartolotti ed al fratello Giovanni, la verità venne a galla. Per le elezioni che si svolsero dopo la sua morte, gli abitanti di Cinisi, votarono comunque il suo nome e venne eletto simbolicamente al consiglio comunale.

Di Peppino Impastato, ad oltre 40 anni dalla sua morte, si parla ancora del suo coraggio nell’osteggiare la mafia e nel voler cambiare e liberare la sua terra dal sistema mafioso che da decenni  soffocava la Sicilia. Ne “I Cento Passi” di Marco Tullio Giordana, film a lui dedicato, viene chiaramente rappresentata la matrice mafiosa del suo assassinio.

Il Gruppo musicale “Modena City Rambles” gli ha dedicato il testo “I Cento Passi”. Ecco un passagio del testo:

“Nato nella terra dei Vespri e degli aranci, tra Cinisi e Palermo parlava alla sua radio, negli occhi si leggeva la voglia di cambiare, la voglia giustizia che lo portò a lottare, aveva un cognome ingombrante e rispettato, di certo in quell’ambiente da lui poco onorato, si sa dove si nasce ma come si muore e non se un ideale ti porterà dolore.”

Di Peppino Impastato ci sarebbe molto da scrivere, mi sono limitata alle notizie più rilevanti.  Qualche anno fa, sono capitata in un blog dove era stata pubblicata una lettera a Peppino, scritta da Don Chisciotte nel trentesimo anno del suo assassinio che poco si conosce e che porto a conoscenza perchè mi piace e mi emoziona.

Lettera a Peppino Impastato
 
Ridotto a brandelli da mafiosi vigliacchi e infami trent’anni fa
 
Caro Peppino,
ti scrivo pur sapendo che sei morto, ma vedendoti, sentendoti, ben presente nei cuori e nelle menti di tante persone – uomini, donne, giovani e anziani – so che a anche a te arriveranno queste mie parole.
Quando ti penso, sopraggiunge in me l’emozione, forte, intensa, difficile da controllare. Ammetto che alle volte mi imbarazza. Non so se mi capisci. E’ un po’ come quando penso a mia nonna o al mio maestro d’arme. Ma come per loro, anche con te, è questione di un attimo. Con un sorriso, che parte dal cuore, e che prima di giungere alle labbra, vibra lungo tutto il mio corpo, si fa largo in me un’energia che rinnova la mia forza e mi spinge senza indugio a continuare la mia, la nostra, battaglia.
Tu in questo sei stato un maestro e non farci caso a quei cornuti che ancora oggi dicono – “si, si, iera nu’ bravu caruso, ma nun sapia farisi l’affari so”” – guarda che ce li abbiamo anche qui in Brianza, solo che parlano un’altra lingua. Sono persone che non meriterebbero nemmeno di pulirti le scarpe, anche se so che tu le scarpe te le pulisci da solo.
Nel frattempo, ti sarai accorto, che tanti giovani nella tua, nostra terra, hanno deciso di dire no alla mafia e con essi, nuovi imprenditori si rifiutano di pagare il pizzo, appoggiati – incredibile – dalle loro associazioni di categoria. Sono piccoli passi, che però si aggiungono ai tuoi 100… staremo a vedere dove ci porteranno.
Si è vero che l’altra faccia della medaglia, vede quel cannolo di Cuffaro in parlamento, sotto le mentite spoglie di onorevole, nonostante la condanna per favoreggiamento, verso un singolo mafioso – e si perché se ne favoriva di più forse oggi sarebbe presidente del Consiglio – e con lui, anche quel doppiopetto di Dell’Utri, nonostante la condanna per concorso esterno in associazione mafiosa. Ma che ci vuoi fare, caro Peppino, il lavoro da fare qui è ancora tanto, ma noi non desistiamo!
Come non desistettero, trent’anni fa i tuoi amici e compagni, i tuoi famigliari… forte la tua mamma, è stata. Se fosse stato per lo Stato, il tuo epitaffio sarebbe stato “suicidio”. Ma loro, che ti conoscevano troppo bene, avevano ereditato un po’ della tua testa dura. E si impuntarono, scartando i depistaggi, denunciando chi di dovere, lottando, parlando, urlando, contro ogni convenienza, opportunismo, ipocrisia, viltà. Il tuo enorme coraggio, la tua ostinazione,
caparbietà, lealtà, intransigenza, onestà – insomma tutte quelle cose che ci insegnano da piccoli, per poi chiederci di metterle da parte da grandi, perché sconvenienti – si riversarono su di loro.
Si tu, figlio di mafia, tu che hai osato infrangere quel legame oscuro che vessa e umilia la tua, nostra, terra e sparge il suo fiele per il mondo intero, anche da morto, hai saputo rigenerare i vivi. Come un Cristo – povero – s’intende.
Ed è così che ventiquattro anni dopo – l’11 di aprile del 2002 alle ore 17,15 per la precisione – la Corte di Giustizia di Palermo condanna all’ergastolo, quale mandante del tuo omicidio, Tano Badalamenti.
Tu, come me, lo sai Peppino, che i tuoi amici e compagni, quel nome – Tano Badalamenti – lo urlarono a gran voce, due giorni dopo, che degli infami da lui armati ti avevano dilaniato la carne in mille brandelli, facendoti saltare con la dinamite, sulle rotaie della ferrovia. Ma non per tutti è così.
Conoscendo la tua umiltà, son certo che mai avresti perorato la tua causa, il tuo particulare, in un paese come il nostro dove l’impunità per stragi e ammazzamenti vari, pare essere una costante.
Comunque sia il risultato raggiunto è importante, anche se ancora ci sarebbe da scoprire, sulle collusioni, i depistaggi che anche nel tuo caso non sono mancati.
Se fossi un “paolotto”, non avrei dubbi ti farei santo subito; se fossi un uomo banale ti chiamerei eroe, ma io sono solo un cavaliere errante, come tu ben sai e quindi non posso far altro che inchinarmi di fronte a te, per poi abbracciarti e continuare a portarti nel mio cuore e nella mia mente… per sempre.
Trent’anni fa, più o meno a quest’ora del pomeriggio, leggevo con alcuni amici, seduto su una panchina, di un luogo qualunque, della tua morte. Ho ancora in mente quel preciso momento … wish you were here.
Grazie Peppino.
Don Chisciotte
Io voglio scrivere che la mafia è una montagna di merda! …
 
Alcune delle poesie scritte da Peppino
 
Fiore di campo
 
“Fiore di campo nasce dal grembo della terra nera,
fiore di campo cresce odoroso di fresca rugiada, 
fiore di campo muore sciogliendo sulla terra
gli unici amori segreti”
 
Appartiene al suo sorriso
 
“Appartiene al suo sorriso l’ansia dell’uomo che muore,
al suo sguardo confuso chiede un po’ d’attenzione,
alle sue labbra di rosso corallo un ingenuo abbandono,
vuol sentire sul petto il suo respiro affannoso:
è un uomo che muore”
 

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